L’ITALIA COME IL TITANIC

 

La sintesi politica del momento attuale è la seguente. Il governo è diviso sulla riforma del lavoro, tanto che se ne lava le mani affidandola al Parlamento. Si prevedono logomachie infinite e voto finale alle calende greche. Non si ha il coraggio di applicare immediatamente la riforma – come si sarebbe fatto con un decreto legge – per rispetto, si dice, delle norme costituzionali. Infatti esse parlano di “casi straordinari di necessità e urgenza” (art.77) che qui non ci sarebbero. Che urgenza c’è, se l’Italia rischia soltanto di fallire? Ma, dicono, la Costituzione è intoccabile. Dio mio, le si è toccato il sedere – come minimo – tante di quelle volte, in passato, che forse potrebbe essere divenuta una professionista del ramo. Ma anche le professioniste ridivengono vergini, quando serve. Oggi invece non c’è né necessità né urgenza. Annibale è alle porte, ma solo per dare alle porte una mano di vernice. 

Probabilmente in realtà il decreto è stato evitato per non mettere il Pd dinanzi ad una scelta ineludibile e alla fine mortale. Dove si vede che questo partito vale più dell’Italia.

E allora si va in Parlamento. Qui le domande divengono infinite. 

Se esso può cambiare tutto, perché il Pd e i sindacati si sono battuti a morte contro il governo, per mesi, prima del varo di questo disegno di legge, che così sembra divenire solo una mite proposta? Se nelle Camere il Pd, l’Idv e la Lega si uniscono per cambiare l’art.18 nel senso voluto dalla Cgil, che cosa può fare il Pdl? Quali sono i numeri? Se in Parlamento una legge si vota prima articolo per articolo (e i partiti di governo potrebbero dividersi sull’art.18) e infine si dà un voto complessivo all’intera legge, che avverrà se, sul voto finale, Pd e Pdl voteranno in modo difforme? Se sull’art.18 Lega e Idv votano col Pd, come voteranno sull’intera legge, prevarrà l’opposizione al governo o il favore all’art.18 modificato? E cadrà il governo? Infine, si può ipotizzare che il governo ponga la fiducia sul disegno di legge come attualmente formulato? Oppure sul disegno di legge come risulterebbe dalla discussione in Parlamento, salvo la parte sull’art.18, in cui il governo adotterebbe la formula Fornero-Pdl? E comunque, si arriverà al punto finale prima delle elezioni del 2013? E i mercati, le Borse, gli imprenditori stranieri crederanno di più ai vaghi voti del governo e di Napolitano, o al fatto che niente cambia, in Italia, per mesi e per anni, in campo lavorativo? Se qualcuno sarà in grado di rispondere a tutte queste domande, Nostradamus al confronto risulterà uno sprovveduto.

Nella nebbia si può forse intravedere un filo conduttore. In Italia nessuno si fida di nessuno. Se, in caso di licenziamento per ragioni economiche, si delegasse il giudice a decidere se veramente c’è una ragione economica, destra ed imprenditori pensano che il giudice, essendo di sinistra, darebbe ragione al lavoratore anche quando ha torto. E lo reintegrerebbe. Si è visto molte volte. Se invece, in caso di licenziamento per ragioni economiche, il ricorso al giudice per il reintegro non fosse mai ammesso o fosse reso difficile, i lavoratori e i sindacati pensano che gli imprenditori, disonestamente, gabellerebbero per “licenziamento per ragioni economiche” anche un licenziamento per ragioni sindacali, disciplinari o di semplice antipatia. E spesso avrebbero ragione. Non solo tutti considerano la controparte disonesta, ma il peggio è che tutti hanno buoni motivi per considerarla tale. 

C’è una soluzione? Certo che c’è, in ogni Paese rispettabile: il giudice terzo, il giudice onesto, il giudice non politicizzato, il giudice imparziale di cui ci si può fidare. Mentre se non c’è un giudice terzo, un giudice onesto, un giudice non politicizzato, un giudice imparziale di cui ci si può fidare, nessuna legge potrà mai funzionare.

Se fosse vero quanto è stato detto, e cioè che nel licenziamento per ragioni economiche non si può ottenere in nessun caso il reintegro, la formula Fornero in concreto renderebbe i licenziamenti praticamente sempre possibili, anche per capriccio, se pure pagando un consistente indennizzo. Sarebbe una soluzione brutale e ingiusta ma funzionale alla liberalizzazione del mercato del lavoro. Più o meno come quando, durante il naufragio del Titanic, si decise quali persone dovevano salire sulle scialuppe di salvataggio e quali certamente sarebbero morte. Ma è una soluzione moralmente inaccettabile. Meglio annegare tutti.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

24 marzo 2012

 
L’ITALIA COME IL TITANICultima modifica: 2012-03-24T10:29:45+01:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “L’ITALIA COME IL TITANIC

  1. Temo che abbia assolutamente ragione.
    A Napolitano avrei detto: decreto o mi dimetto, e invece Monti non lo ha fatto.
    Adesso resta un’ultimissima possibilita’, cioe’ porre la fiducia se inizia una interminabile giostra di emendamenti, studiati piu’ che altro come prove di forza.
    Altrimenti qualcuno (il PDL ?) farebbe forse bene a staccare la spina a Monti.
    Il ticchettio della bomba a orologeria potrebbe di nuovo fermarsi in caso di elezioni anticipate, certamente non si fermera’ durante le infinite discussioni parlamentari.
    Il meglio e’ nemico del bene.

  2. Dimenticavo, le sue riflessioni sulla fiducia reciproca mi pare implichino qualcosa d’altro: qualunque cosa si decida in tema di lavoro, la madre di tutte le riforme sara’ necessariamente la riforma della giustizia.

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